Sancha di Maiorca

La regina Sancha di Maiorca (1285-1345), consorte di Roberto D’Angiò, abile nella diplomazia e capace nell’amministrazione del Regno, coltivò particolarmente una premurosa attenzione verso il francescanesimo. Alla morte del marito si ritirò nel monastero di S. Croce a Palazzo, facendo professione dei voti come clarissa.

Sancha, dopo la sorella Isabella, era la seconda figlia femmina del re Giacomo II. Il 17 giugno 1304, a Collioure, vicino a Perpignano, nella Contea del Rossiglione, andò in sposa a Roberto d’Angiò, il più anziano figlio sopravvissuto di Carlo II d’Angiò e Maria Arpad d’Ungheria, quindi erede al trono di Napoli. Il matrimonio portò a compimento la strategia di alleanze di Carlo II, tesa a ridurre il peso politico del ramo aragonese di Sicilia. Roberto aveva perso all’età di ventisette anni (1302) la sua prima moglie, Iolanda d’Aragona, cugina di Sancha. Alla morte di Carlo II, avvenuta il 5 maggio 1309, Roberto gli succedette sul trono e Sancha divenne così regina consorte sino alla morte di suo marito; fu incoronata ad Avignone regina di Sicilia e Gerusalemme.

Sancha era stata istruita dai francescani e manifestò presto la sua propensione per la vita spirituale, oltre ad un forte attaccamento verso l’Ordine dei Frati Minori. Non ebbe figli e compensò – sembra – questa mancata maternità fisica con una ‘maternità spirituale’ verso i frati francescani, che le conferirono il titolo di ‘madre ausiliatrice e protettiva’. Esortata dal papa a mettere da parte le sue aspirazioni monacali e a conservare l’unità della famiglia reale (in un momento in cui veniva canonizzato Ludovico d’Angiò, fratello di Roberto), Sancha rivolse il suo impegno di regina alla promozione e al sostentamento delle istituzioni monastiche. Ella si dedicò al patrocinio e alla fondazione di conventi e altre pie opere, a Napoli (S. Chiara, S. Maria Maddalena, S. Maria Egiziaca, S. Croce di Palazzo, Certosa di S. Martino) e altrove (Provenza, Terra Santa), riservando uno speciale riguardo alle Clarisse e al nuovo complesso monastico napoletano del Santo Corpo di Cristo (attuale S. Chiara) a loro destinato. Sancha ed il marito divennero terziari francescani ed ebbero un ruolo centrale per riscattare il Cenacolo nel 1333 concedendo, attraverso la mediazione di Frate Ruggero Garini, la somma richiesta dal Sultano d’Egitto per assicurare ai frati il diritto a vivere e svolgere le celebrazioni al Santo Sepolcro, e a vivere in un convento presso il Santo Cenacolo come rappresentanti della Chiesa di Roma. Il Papa Clemente VI, con la bolla Gratias Agimus e Nuper Carissimae nel 1342, anno primo del suo pontificato, approvò l’operato dei Reali di Napoli, riconoscendo ai frati il diritto a rappresentare la Chiesa di Roma nei Luoghi Santi.

La regina era di salute cagionevole, ma nonostante ciò era pienamente impegnata negli affari di Stato: aveva eccellenti capacità amministrative e abilità diplomatiche. Investi nelle opere di fondazione le rendite patrimoniali personali: frequentò i monasteri delle Clarisse dei conventi di S. Chiara e S. Croce, dove era solita ritirarsi in periodi di convalescenza. Interveniva sugli aspetti organizzativi interni e di governo dei conventi di suo patrocinio, come a S. Chiara, al quale assicurò cospicue rendite e donò molti preziosi reliquiari.

Roberto d’Angiò, morto nel 1343, affidò – come volontà testamentaria – a Sancha la direzione di un Consiglio di Reggenza. Per la decisa opposizione del Pontefice la regina non ebbe tale incarico e poté finalmente ritirarsi nel monastero di clausura di S. Croce di Palazzo. Lo stesso anno il Papa le concesse uno speciale permesso di uscire dal monastero per poter continuare la visita alle opere religiose da lei patrocinate. Assegnò inoltre denaro, terre ed altri immobili al monastero di S. Chiara e a quelli di S. Maria Maddalena e S. Maria Egiziaca, e delegò ufficialmente l’amministrazione di tutto il suo patrimonio per dedicarsi pienamente alla vita spirituale.

Sancha, diventata Suor Chiara di Santa Croce, servì con umiltà la comunità monastica e i poveri, ad esempio distribuendo loro elemosine e grano nel convento di S. Chiara. Morì dopo poco più di un anno dalla professione dei voti e venne sepolta in Santa Croce, forse imbalsamata, secondo gli usi degli Aragonesi. Al tempo della regina Giovanna II d’Angiò, poiché il complesso si trovata fuori dalle mura, le monache furono trasferite a Santa Chiara, dove vennero traslate le spoglie di Sancha nel 1424, delle quali però si è persa ogni traccia. Pur non essendo ancora ufficialmente beatificata è venerata come Beata dell’Ordine Francescano e ricordata il 28 luglio nel martirologio dell’Ordine.